A conclusione di complesse indagini dirette e coordinate dalla Procura della Repubblica – D.D.A. di Caltanissetta, (Procuratore dr. Sergio Lari, proc. Agg. Dr. Domenico Gozzo, sost,. Proc. Dr. Gabriele Paci) personale della Squadra Mobile di Caltanissetta, Sezione criminalità organizzata, e del Commissariato PS di Gela ha eseguito questa mattina nr. 7 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Gip del Tribunale di Caltanissetta dr. Giombattista Tona
nei confronti dei seguenti soggetti (nella foto, in alto e in basso, da sinistra verso destra):
1. ALABISO Giuseppe, nato a Gela (CL) il 19.03.1954;
2. CAVALERI Angelo, nato a Gela (CL) il 10.05.1972;
3. GAMMINO Gianluca, nato a Vittoria (RG) il 17.09.1974;
4. PORTELLI Paolo, nato a Gela (CL) il 07.10.1968;
5. SCIASCIA Emanuele, nato a Gela (CL) il 20.09.1942;
6. SCIASCIA Filippo, nato a Gela (CL) il 21.03.1947;
7. STIMOLO Giuseppe, nato a Gela (CL) il 06.06.1976.
GAMMINO Gianulca, PORTELLI Paolo, SCIASCIA Emanuele, SCIASCIA Filippo, STIMOLO Giuseppe, in concorso con Daniele Emmanuello deceduto, dovranno in particolare rispondere del tentato omicidio (nonché di porto e detenzione abusiva in luogo pubblico di armi da sparo) ai danni dell’ing. Fabrizio Lisciandra, avvenuto a Gela nel settembre 1998.
ALABISO Giuseppe, SCIASCIA Filippo, SCIASCIA Emanuele, in concorso tra loro e con EMMANUELLO Daniele, deceduto, SMORTA Crocifisso, TRUBIA Rosario ed altro soggetto indagato, risponderanno del reato di tentata estorsione sempre ai danni del Lisciandra, per aver con reiterati atti intimidatori agevolati dalla loro appartenenza all’organizzazione mafiosa Cosa nostra, in altri casi mediante esplicite minacce di morte rivolte al LISCIANDRA Fabrizio nonché ad altri soci della società calcistica Juveterranova, tentato di costringere il suddetto LISCIANDRA a rassegnare le dimissioni da Presidente della società di calcio citata oltre che ad obbligare i soci a sostituire il LISCIANDRA alla presidenza della società con persona designata dagli stessi.
Come si ricorderà, nel pomeriggio del 2 settembre 1998 uomini appartenenti alla famiglia mafiosa di Gela attentavano alla vita di un noto professionista gelese, l’ing. Fabrizio LISCIANDRA, non realizzando l’evento propostosi per una fortunata casualità, ovvero il malfunzionamento dell’arma utilizzata per l’esecuzione dell’attentato, inceppatasi dopo l’esplosione del primo colpo. Il LISCIANDRA, già consigliere comunale, era al tempo Presidente del C.N.S., consorzio facente capo alla Lega delle Cooperative che operava come “centro servizi” per lo svolgimento dei lavori nei vari settori specialistici di interesse della Raffineria di Gela.
Gli arrestati sono stati trasferiti presso la casa circondariale di Caltanissetta, a disposizione dell’AG che procede.
Fonte: corrieredigela.it
L’operazione della Polizia “Leonina societas”, con l’arresto di sette persone legate a “Cosa Nostra”, ha messo in luce l’ennesimo nesso tra sport e malavita organizzata. L’ex presidente della Juveterranova Fabrizio Lisiandra, scampato ad un agguato nel 1998, non era stato preso di mira solo per costringerlo a fare entrare la mafia nel consorzio delle piccole imprese che operavano nel petrolchimico, ma anche perchè si voleva che la società calcistica venisse consegnata alla criminalità organizzata. È paradossale che proprio mentre il Gela calcio cerca affanossamente in questo periodo nuovi padroni per sopravvivere, venga fuori la vecchia storia sull’interesse della mafia per la squadra. Ed è paradossale anche il disinteresse della parte sana dell’imprenditoria locale verso una società sportiva divenuta fiore all’occhiello della città, grazie alla gestione del dimissionario Tuccio.
Il 2 Settembre del 1998, a conclusione di un allenamento dei calciatori del Gela Jt, squadra già all’epoca iscritta al campionato professionistico di C2, Fabrizio Lisciandra, presidente della stessa nonché noto imprenditore, veniva affrontato da due uomini armati: un colpo gli trafiggeva una gamba; i bossoli che lo avrebbero dovuto uccidere, invece, rimasero all’interno della pistola impugnata da uno dei carnefici, l’arma, infatti, si era inceppata. Si parlò molto dell’accaduto, del resto Lisciandra non è uno qualunque; la sua frenetica attività si è da sempre divisa tra lavoro, soprattutto con la gestione di imprese attive nel vasto mondo dell’indotto Eni, politica, con esperienze in consiglio comunale ed ancora come candidato a sindaco di liste civiche ed oggi, inoltre, quale coordinatore di un’entità fuoriuscita dall’Mpa ufficiale, il gruppo “Liberi e Gelesi”, e sport, la sua avventura alla guida del Gela Jt consentì la storica promozione tra i professionisti. A completamento di una vasta attività d’indagine, posta in essere dalla Squadra Mobile di Caltanissetta, si è pervenuti, stando alle dichiarazioni rilasciate dagli inquirenti, alla totale ricostruzione di quel giorno di fuoco. Lo si potrebbe considerare, a quanto pare, una punizione verso un imprenditore ribelle ai voleri del clan degli Emmanuello: l’ex reggente, Daniele Emmanuello, infatti, intendeva spingere al massimo le velleità economiche della cosca, e il Consorzio Nazionale Servizi di Bologna, retto a Gela proprio da Lisciandra, rispettava tutte le credenziali di successo ricercate da cosa nostra. Il Consorzio, che raggruppava parecchie società dell’indotto Eni, però, non fu conquistato, anche per la resistenza dei suoi vertici, ed allora, grazie alla scaltrezza ed alla capacità di muoversi all’interno di un mondo, spesso poco trasparente, dimostrata dai fratelli Emanuele e Filippo Sciascia, già interessati dall’inchiesta “In&Out” del 2006, la lente d’ingrandimento mafiosa si spostò verso il “Consorzio Nazionale della Produzione e Lavoro” con sede legale a Roma, diretto a Gela da Nicola Ingargiola, assolto per gli stessi fatti lo scorso mese dal gup di Caltanissetta, Francesco Lauricella.
Dopo il Cns, però, il gruppo Emmanuello puntava anche al calcio ed agli introiti prodotti dal mondo del professionismo, nuovo e poco esplorato settore; ed allora il presidente della società sportiva, lo stesso Fabrizio Lisciandra, doveva farsi da parte per lasciare il passo al clan: ma anche in questo caso, l’imprenditore si oppose e il tentato omicidio di quella fine estate del 1998 doveva fargli capire che la mafia non accettava alcun rifiuto.
Ad agire sarebbero stati Gianluca Gammino, ergastolano e killer tra i più spietati della consorteria mafiosa gelese, al punto da partecipare all’agguato del 2 Gennaio 1999 presso il rifornimento Esso di Vittoria che lasciò sull’asfalto cinque corpi, e Giuseppe Stimolo, in passato finito in cella a causa del tentato omicidio dell’Aprile del 1999 orchestrato ai danni dei fratelli Emanuele e Pietro Trubia. Tra gli arrestati anche Paolo Portelli, recentemente condannato ad undici anni ed otto mesi di reclusione nell’ambito del procedimento, “Munda Mundis”, imperniato sul racket delle estorsioni generato dal servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, Giuseppe Scicolone, attualmente sotto processo innanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta per il duplice omicidio del Luglio del 1999 che tolse la vita a Emanuele Trubia e Salvatore Sultano, nonché nuovo collaboratore di giustizia, ed Angelo Cavaleri, indicato da Crocifisso Smorta, quale figura di spicco del clan Emmanuello nel periodo 1998-1999, anch’esso coinvolto nella breve faida interna dell’estate di undici anni fa. Ma non solo manovalanza mafiosa: al centro dell’indagine, “Leonina Societas”, infatti, compare il medico, Giuseppe Alabiso, titolare di un noto studio dentistico nel quartiere Caposoprano, fautore di “imprese estreme” come l’attraversamento in ultraleggero dei cieli di sette stati europei, ed appassionato di rally e potenti automobili. Il professionista, attraverso gli stretti rapporti intrattenuti con i fratelli Sciascia, e soprattutto con Filippo, marito della sorella, si sarebbe prestato all’effettuazione di “consulenze” in favore del gruppo Emmanuello, fino al punto da rilasciare certificati favorevoli ad alcuni affiliati, idonei a garantirne particolari trattamenti anche durante la loro sottoposizione al regime carcerario.
Alabiso, figlio di un ex presidente della compagine calcistica gelese, ha avuto trascorsi anche all’interno del cda di quest’entità, ed a quanto trapelato, avrebbe avuto interesse a rientrare proprio nel periodo dell’agguato teso a Fabrizio Lisciandra, vantando, fra le altre cose, contatti assai frequenti con la Juventus. Proprio Filippo Sciascia, spalleggiato da un fratello, Emanuele, noto alle forze dell’ordine per i suoi rapporti con uno dei reggenti del clan Emmanuello, Crocifisso Smorta, in passato suo compagno di detenzione, proseguì l’attività di auto-trasporto interna all’Eni avviata dal padre del medico. I risultati illustrati dagli inquirenti si sono trasformati in concreta attualità non solo a seguito delle dichiarazioni fornite da Crocifisso Smorta e Rosario Trubia, una volta protagonisti del gruppo Emmanuello, seguiti, a quanto sembra, da Giuseppe Sci-colone, ma, ancora, per il tramite di intercettazioni già effettuate nel corso dell’indagine, “In&Out” del 2006, che cercò di penetrare in profondità i rapporti tra mafia ed imprenditoria all’interno dello Stabilimento Petrolchimico. Tra i fatti ricostruiti anche l’aggressione ad un imprenditore gelese, costretto a versare al clan Emmanuello una somma di quindici milioni delle vecchie lire, che, pur in assenza di ammissioni da parte degli investigatori, dovrebbe corrispondere all’identità di Biagio Cocchiaro, da poco arrestato nell’ambito dell’inchiesta, “Sud Pontino”.
Un quadro assai complesso, fondato su approfondite analisi: al centro un imprenditore, Fabrizio Lisciandra, già arrestato nel 1994 nel corso dell’operazione, “Bulldozer”, e nel novembre del 2001, e, in entrambi i casi, scagionato dalle accuse mossegli, dal concorso esterno in associazione mafiosa alla truffa ai danni dell’Unione Europea, dello Stato italiano e della Regione Sicilia, vittima di pressioni mafiose che avrebbero potuto determinare una drammatica fine.
Fonte: corrieredigela.it