Il racket delle estorsioni o “pizzo”, è un’attività criminale generalmente volta a ottenere da un operatore economico il pagamento periodico di una certa somma di denaro in cambio dell’offerta di “protezione” da una serie di intimidazioni che, in realtà, è lo stesso proponente a mettere in atto. Questa forma di estorsione è un fenomeno assai diffuso, generalmente sommerso e per molto tempo sottovalutato. Tanto da essere considerato un fatto quasi normale, un affare “privato” delle vittime oppure un’attività secondaria della criminalità organizzata, in particolare mafiosa.
In realtà, “il pizzo” è la più antica attività della mafia. Spesso rappresenta la base della sua attività criminale: un sicuro strumento economico per mantenere l’organizzazione e per acquisire capitali da reinvestire in altre attività criminali o nell’economia legale; il modo più efficace per esercitare il controllo sul territorio. Il racket si concentra nel Sud, dove la criminalità mafiosa e camorristica condiziona storicamente la vita e la sicurezza di molti cittadini e ne limita la libertà d’impresa e di sviluppo. Tuttavia negli ultimi tempi, il fenomeno si è esteso ad altre regioni del Paese. E proprio dai luoghi in cui è nato e cresciuto, è partita la rivolta contro il racket.
Il “pizzo” è rivolto in genere a operatori economici o a chi detiene la proprietà di un’azienda (negozio, cantiere, fabbrica) che produce reddito. Prima di giungere alla richiesta esplicita, e per essere certo che la risposta della vittima sia positiva, l’estorsore applica una strategia di minaccia e intimidazione che ha il fine di spaventare l’operatore economico (senza tuttavia annientarlo: altrimenti rischierebbe di perdere una fonte di reddito).
Le minacce sono graduate, a seconda della minore o maggiore resistenza della vittima, e puntano a impaurirla facendole capire quanto sia “insicura” e in pericolo. In un secondo momento, è lo stesso estorsore a manifestarsi chiaramente per “offrire” protezione.
Piegarsi alla paura e pagare vuol dire imboccare una strada che può condurre alla perdita della propria libertà, non solo imprenditoriale: cedere la prima volta può predisporre a successivi cedimenti (ad esempio acquistare prodotti solo da certi fornitori segnalati o assumere qualcuno debitamente raccomandato) che possono, col tempo, sconfinare in veri e propri comportamenti illegali. Fino a trasformare l’iniziale vittima dell’estorsione in un soggetto più o meno coinvolto nel sodalizio criminale.
Oggi, dunque, non cedere e ribellarsi non solo è giusto ma, oggi, è anche conveniente.
Chi si oppone al racket può contare, da una parte, sul sostegno delle istituzioni e delle leggi dello Stato e, dall’altra, sulla forza dell’associazione con altri operatori economici ugualmente intenzionati a ribellarsi. Grazie a questa collaborazione, negli ultimi tempi l’azione di contrasto del racket ha messo a segno importanti risultati.
Inoltre, con l’approvazione della legge 44/1999, la pubblicazione del regolamento di attuazione, l’insediamento del nuovo Comitato e i primi risultati conseguiti nell’applicazione della nuova normativa, si sono create le condizioni per l’avvio di una nuova fase nella lotta al racket. Un ruolo decisivo spetta al Comitato di solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura, al quale sono chiamati a partecipare in misura maggioritaria i rappresentanti delle associazioni antiracket e antiusura e delle associazioni di categoria.