Al racket di Gela non si sfugge. Nemmeno se cambi gestione. Neanche se vai via per aprire un’altra attività commerciale, anzi tornano alla carica più audaci di prima ed impongono il pizzo anche sul nuovo esercizio. La conferma a questa linea di condotta giunge dalle risultanze investigative dell’operazione “Cuba Libre” con 24 persone arrestate, esponenti di Cosa Nostra (famiglie Emmanuello-Rinzivillo) e Stidda.
Per la magistratura di Caltanissetta, avrebbero sottoposto a continue richieste di pizzo (per le festività di Pasqua, Ferragosto e Natale) i titolari di due bar. Gli episodi risalgono agli anni scorsi, ed in particolar modo dal 1995 al 2006 e dal 2001 al 2006. La maggior parte degli indagati è già in carcere per reati specifici.
Tre erano liberi e sono stati arrestati: si tratta di Guido Argenti, 37 anni, ammanettato a Cremona; Nunzio Maganuco, 34 anni e Nunzio Mirko Licata, 31, scovato a Ghedi, in provincia di Brescia. Le altre ordinanze di custodia hanno interessato Giuseppe Ascia, 22 anni; Emanuele Bassora, 34; Massimo Carmelo Billizzi, 33; Roberto Di Stefano, 40; Rocco Crocifisso Bassora, 36 anni; Rocco Ferlenda, 38; Fortunato Ferracane e Marco Ferrigno di 36; Nicola Palena, 27; Salvatore Terlati, 34; Domenico Vullo, 32 anni. Dell’identico reato di estorsione, in concorso, continuata ed aggravata dal metodo mafioso, devono rispondere anche Gaetano Giuseppe Azzolina, 39 anni; Mariano Bonvissuto, 29; Gianluca Gammino, 34; Luca Luigi Incardona, 32; Carmelo Nicastro, 33; Samuele Rinzivillo, 25; Emanuele Aletta, 28 anni; Salvatore Burgio, 42; Crocifisso Smorta, 49 e Felice Marco Eros Turco di 20 anni.
Secondo quanto emerge dall’indagine, suffragate dalle dichiarazioni delle vittime e dei collaboratori di giustizia, Rosario Trubia, Emanuele Terlati e Marcello Sultano e dall’attività di intelligence dell’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, i soggetti incriminati nel blitz della scorsa notte, avrebbero estorto alle vittime, cifre ammontanti a 500 euro per ognuna delle attività gestite, per ogni festività. Ma non solo soldi, ma anche consumazione gratuita di alimenti e bevande e dolci tipici. Le vittime hanno subito gravi attentati incendiari, anche con il metodo “libanese”, cioè quello di dar fuoco ad un’automobile e di lanciarla contro l’ingresso principale dell’esercizio commerciale da colpire. Dicevamo che alla morsa opprimente delle estorsioni non si sfugge: il commerciante preso di mira inizialmente dalla mafia e che aveva puntualmente pagato, aveva ceduto, a distanza di qualche anno, il proprio locale. Al nuovo esercente, la mala ha chiesto nuovamente la tangente, pagata anche questa, per paura di ritorsioni. Ma non è finita qui: lo stesso esercente venditore quando ha deciso di aprire altri due bar, è stato avvicinato ancora prima che venissero inaugurati i nuovi locali e con metodi estremamente persuasivi venivano avanzate le richieste di pagamento del pizzo. La mafia ricorreva al credito gratuito dello stesso commerciante, trasformandolo in una sorta di finanziaria a costo zero. Gli portavano, infatti, assegni post-datati che lui puntualmente liquidava subito per paura, pur sapendo che molti di quei titoli sarebbero risultati non esigibili perché scoperti.
L’indagine è stata curata dal dirigente del Commissariato di Polizia di Gela, Angelo Bellomo; da Giovanni Giudice, dirigente della Sco (Sezione Criminalità Organizzata); Marco Staffa (dirigente della Squadra Mobile di Caltanissetta) e dal Commissario Capo Rosario Amarù (ex dirigente della sezione di Pg del Commissariato di Gela), adesso alla guida del Commissariato di Comiso.
Fonte: tg10.it